Cenni Storici - Associazione Domenico Scarlatti

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Cenni Storici

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Napoli, nella prima metà del Settecento, era senza dubbio una delle città più vivaci dal punto di vista musicale: artisti come Alessandro Scarlatti, Nicolò Porpora o Leonardo Leo avevano proposto con successo lo stile musicale napoletano nelle corti di tutta Europa e non è sorprendente che nel 1739 l’appassionato di musica Charles de Brosses, scrittore e Presidente del Parlamento di Borgogna (nel suo libro, Lettres familières écrites d’Italie en 1739 et 1740) riferendosi alla città partenopea, la definisse capitale mondiale della musica.
Oggi viviamo un periodo di notevole sviluppo e diffusione della musica in tutti i suoi generi e stili, auditorium firmati da grandi architetti, Città della Musica, sale da concerto dove si esegue musica da camera e sinfonica, incisioni discografiche con conseguente espansione su internet.
A Napoli, nel Settecento, non esisteva tutto questo, ma il fenomeno musica era così diffuso da costituire una necessità indispensabile per la società dell’epoca, in ogni casa si eseguiva musica che coinvolgeva l’intera la popolazione e ciò spiega il grande numero di compositori e di virtuosi con il conseguente livello di perfezione raggiunto.
Tutti gli avvenimenti sociali pubblici e privati, funzioni religiose, monacazione di nobildonne, nozze, battesimi, lavoro nei campi, erano caratterizzati dalla presenza della musica, senza considerare gli innumerevoli concerti da camera, gli spettacoli teatrali, le feste popolari.
E’una vera “frenesia” della musica, favolosa, incredibile, che ne investe tutte le forme ma maggiormente “l’Opera”, che si estrinseca con manifestazioni intense e appassionate che toccano gli estremi dell’entusiasmo e del fervore. Grida di delirio e applausi accompagnano il compositore e i cantanti sono portati in trionfo per le vie della città come accade oggi per le rock stars, ma se il lavoro non é piaciuto, allora il povero maestro è investito da fischi e non solo, ogni genere di oggetti, frutta, verdura, talvolta qualche coltello, volano sul palco colpendo finanche gli orchestrali nella buca. L’accanimento era tale da creare delle vere e proprie fazioni che “tifavano” per l’uno o l’altro cantante. I “partiti” per questo o quel maestro lottano tra di loro, come oggi si vede fare negli stadi, invasati dall’odio e dall’ira, cercando di sopraffarsi con ogni mezzo, senza riguardo a persona o celebrità.
Nonostante ciò, convivevano due atteggiamenti molto ambigui: il primo, quello di poter determinare il successo o l’insuccesso di un’opera “assoldando” una claque e l’altro quello di rimanere distratti per tutta la durata della stessa chiacchierando, mangiando, prestando insomma attenzione solo alle cose che interessavano: le Arie, le canzonette di oggi per intenderci (con quale differenza!). Per dare un’idea di quello che succedeva nei palchi dei teatri, riporto fedelmente una cronaca dell’epoca riferita al Teatro San Carlo: “Una sera un cappuccino trovandosi in un palchetto vicino all’orchestra, ed ansioso di vedere e sentire, s’allunga fuori, e la sua barba piglia fuoco ad una candela d’un suonatore di contrabbasso; questi lascia immediatamente il suo violone, prende il cappuccino pel mento, gli strappa la barba, gli estingue il fuoco, e lo salva dall’essere bruciato, o almeno sfigurato”.
Interessante è anche l’aspetto del plagio.
Come si evince da cronache dell’epoca sul Teatro San Carlo, il musicista che era stato copiato veniva inneggiato dal pubblico e chiamato a gran voce al posto del compositore “titolare”. Ritroviamo la descrizione di numerosissime feste e cerimonie dove la musica era la grande protagonista; da questi scritti si deduce la funzione che la musica aveva nei diversi momenti della vita sociale dei Napoletani. Tutte le occasioni erano buone per far musica, ma gli eventi più importanti erano: vittorie militari, festività religiose, processioni con reliquie miracolose di Santi, nascite, matrimoni, onomastici e decessi di personaggi illustri.
Cominciamo con la musica nelle chiese, che era usata prevalentemente durante cerimonie di ringraziamento e dove il culmine della stessa era caratterizzato dall’esecuzione del Te Deum, spesso associato al suono delle campane e dallo sparo delle artiglierie e dei mortaretti.  
La Musica Sacra nel Settecento Napoletano trova terreno fertile e assurge a modello per i musicisti di tutta Europa.  La presenza di centinaia di Chiese e Cappelle Gentilizie, la formazione didattica dei musicisti e dei cantanti evirati che avveniva nei Conservatori di Sant’ Onofrio a Capuana, di Santa Maria della Pietà dei Turchini, dei Poveri di Gesù Cristo e di Santa Maria di Loreto, strettamente legati alla Chiesa e quindi all’ attività religiosa che in esse si
svolgeva, l’alto numero di compositori sacerdoti tra cui vanno ricordati, Padre Giuseppe da Napoli, Don Giuliano Perugino, l’Abate Bonifazio Petrone, Don Gennaro Manna, hanno permesso un grande sviluppo della Musica Sacra a Napoli nel Settecento, dimostrato dalla copiosa produzione che nella maggioranza dei casi è di alta qualità.
Ogni domenica, alle Tuileries, il Primo Console assiste a una Messa in musica. Paisiello dirige l’orchestra, e gesticola così come lo vidi, a Napoli, dirigere, all’aria aperta, una delle sue composizioni in onore di San Gennaro. La folla turbolenta dei lazzaroni e delle donne dei pescatori che lo circondavano, di fronte al Vesuvio, costituiva una mise en scène che ac¬coglieva meglio la forte e alta statura del maestro, del luogo per l’orchestra consolare.  Questo ricordo, descritto nelle Mémoires di Heinrich August Ottokar Reichard, c’illumina circa l’alta considerazione che i Compositori Napoletani avessero raggiunto nel Settecento in Europa senza perdere la loro caratteristica fondamentale, il legame con la città che li aveva generati: Napoli.
Ritroviamo la descrizione di numerosissime feste e cerimonie, dove la musica sacra era la grande protagonista.
Da questi scritti si deduce la funzione che la musica aveva nei diversi momenti della vita sociale dei napoletani, il livello raggiunto è anche testimoniato dalla qualità degli strumenti utilizzati. Questa è la descrizione che fa nel 1788 Giuseppe Sigismondo nel suo libro Descrizione della Città di Napoli dei due organi presenti nel Duomo della Città: L’organo a destra è opera di fra Giustino da Parma Francescano, l’altro a sinistra è di Pompeo Franco Napoletano. Il Primo fu fatto fare dal Cardinale Ranuccio Farnesa, il secondo dal Cardinale Ascanio Filomarino. I portelli ch’eran nel primo, furono dipinti da Giorgio Vasari.  Tutte le forme di musica furono affrontate con grande maestria dai compositori napoletani, antifone come “Salve Regina”, “Alma Redemptòris”, “Regina coeli”, il già citato Te Deum inno di lode e di solenne ringraziamento che a Napoli si cantava “a voce di popolo” alternando i versetti tra il coro e i fedeli che assistevano, il cantico Magnificat, la sequenza Stabat Mater che fu messa in musica per la prima volta dal barone d’Astorga in stile cantatistico molto interessante sia dal punto di vista melodico che armonico, la Messa in tutte le sue parti, la messa da Requiem e l’Oratorio.  La capacità dei musicisti di Scuola Napoletana di contribuire in modo caratteristico alla letteratura musicale sacra settecentesca è da iscrivere nella grande ingegnosità nel trattare il testo liturgico, facendo tesoro sia della tradizione polifonica italiana, sia del gusto molto particolare di “drammatizzare” ed enfatizzare le funzioni metalinguistiche della forma trattata.  Ad esempio, nella Messa, una prima funzione è quella del richiamo dell’attenzione che è nello stesso tempo un segnale neutro di qualcosa che sta per accadere.
Se all’inizio della Messa non avveniva alcuna processione, l’Introito serviva a sonorizzare l’ambiente in senso determinato. Si passava quindi da uno spazio neutro a uno spazio qualificato. L’attenzione dei fedeli che entravano in chiesa era sollecitata e orientata.
La musica comunicava gioia, festosità, solennità: aveva inizio la celebrazione, un grande spettacolo che coinvolgeva tutti i sensi, la vista con ricche e sontuose scenografie, l’udito con orchestre doppi cori e solisti: l’olfatto con i profumi dell’incenso, il sapore con il pane e il vino e infine il tatto con il contatto tra la gente.
L’azione musicale era orientata opportunamente e coinvolgeva il popolo, che cominciava a cantare.
Francesco Provenzale, Alessandro Scarlatti, Gaetano Greco li vedremmo intensi ad animare, diversificare, individualizzare le varie parti delle loro strutture.
La composizione di queste strutture musicali faceva spesso riferimento alle componenti sociali reali della pratica musicale e introduceva uno spirito nuovo apprezzato e imitato da tutti i musicisti dell’epoca e da quelli che verranno, Amadeus Mozart compreso. Più interessanti, i maggiori musicisti della generazione successiva: Francesco Durante che scrisse numerose Messe tra cui anche Requiem, Domenico Scarlatti di cui va ricordata la splendida sequenza Stabat Mater, Francesco Nicola Fago Maestro della Cappella del Tesoro di San Gennaro con il suo superbo Magnificat a dieci voci. Il primo dei musicisti della generazione successiva a quella di Francesco Durante è Francesco Feo di cui si ricordano molte Messe, Magnificat, Salmi e una messa da Requiem. Francesco Feo e Leonardo Leo rientrano in questa fase di transizione che prepara l’esperienza pergolesiana senza dimenticare Alfonso Maria dei Liguori, autore della famosissima Tu scendi dalle stelle e di Quanno nascette Ninno, del Salve del Ciel Regina, e di O bella mia speranza. Parlando di Giovan Battista Pergolesi e del suo rapporto con la musica Sacra, si esemplifica la sua produzione con la sequenza Stabat Mater, ma la produzione a lui attribuibile è vasta e qualitativa: Messa in re maggiore per soli coro e orchestra, Messa in fa maggiore per soli due cori e due orchestre, Laudate Pueri per soprano coro e orchestra, Salve Regina per soprano archi e organo e numerose altre composizioni.
Dei musicisti contemporanei a Giovan Battista Pergolesi che si dedicarono alla musica Sacra, Niccolò Jommelli è il maggiore di tutti, basterebbe ascoltare soltanto la sua messa da Requiem e la Messa Solenne in re maggiore per soli coro e orchestra per capirne la superiore levatura.  Altri cultori del genere sacro del periodo sono Davide Perez, Gennaro Manna, Pasquale Cafaro, e Nicola Sala.  La generazione successiva è quella di Tommaso Traetta, Antonio Sacchini, Gianfrancesco “Ciccio” De Majo, la cui musica suscitò molto entusiasmo nel giovanissimo Amadeus Mozart in visita a Napoli, Pasquale Anfossi cui Amadeus Mozart “trafuga” l’inciso del “confutatis” del “suo” Requiem, Pietro Guglielmi, Giacomo Insanguine, Fedele Fenaroli. Passiamo ora alla fine del Settecento ricordando Giovanni Paisiello e Domenico Cimarosa. Passati alla storia come grandi operisti, hanno lasciato una notevole quantità di lavori sacri, basti pensare che Napoleone Bonaparte per la musica della cerimonia della sua incoronazione a Imperatore, volle il più grande compositore del tempo, Giovanni Paisiello appunto.
Numerosi manoscritti di musica sacra di questi compositori sono custoditi purtroppo in condizioni non ottimali ancora oggi, presso la Biblioteca dei Padri Girolamini a Napoli, il fondo musicale del Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo qui conservato, è stato catalogato da Salvatore di Giacomo,  altri manoscritti analoghi, si conservano presso la Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli e presso centinaia di biblioteche in tutto il Mondo. Basti pensare che della sola messa da Requiem di Niccolò Jommelli esistono ben quaranta testimoni in tutta Europa. La qualità e l’enorme produzione di lavori a noi pervenuti dei suddetti autori testimoniano la portata e l’importanza della Musica Sacra nel Regno di Napoli.
Purtroppo un’infinita quantità di composizioni sacre della Scuola Napoletana, tranne rare eccezioni, è rimasta inedita e ineseguita fino ai nostri giorni. Per quanto riguarda le manifestazioni all’aperto, va detto che prevedevano un pubblico eterogeneo con grande partecipazione di popolo e in esse la musica aveva una grossa connotazione enfatica ed emotiva, gli strumenti utilizzati (allo scopo) erano in prevalenza strumenti “militari”: trombe, tamburi. Di tutt’altro tenore, invece, i festeggiamenti prettamente di corte, non solo per la diversa classe sociale dei partecipanti, ma anche per i luoghi,  dove la musica, aveva un ruolo importante ma accessorio, coronando sontuosi banchetti, favolose scenografie e inimmaginabili abiti.  Infine, c’è da registrare un’altra grande occasione festiva, in cui la musica aveva il suo momento magico: il carnevale, con i suoi carri allegorici stravaganti pieni di musicisti, mascherate, festini, commedie in musica. L’occasione per eccellenza per divertirsi, per liberarsi dalle “maschere” e dai problemi quotidiani. Questo per quanto riguarda la musica sacra e quella strumentale, senza aver tralasciato la gloria della musica napoletana che non è solo l’opera comica ma soprattutto quella seria. I teatri erano i luoghi deputati per le rappresentazioni; ve ne erano a decine e tutti con produzioni intense e di qualità.
Tutto questo giustificava la copiosa presenza in questo periodo di numerosi liutai, cembalari e organari in tutto il Regno e in prevalenza a Napoli che, tra l’altro, era la maggiore produttrice di corde musicali.
Il predominio dei musicisti napoletani nel Settecento può essere paragonato con certezza a quello degli “enciclopedisti” Francesi.  Francesco Geminiani  già allievo di Alessandro Scarlatti, racconta un aneddoto in cui è protagonista il suo maestro Arcangelo Corelli. Nel momento migliore della sua carriera, agli esordi del Settecento, viene invitato alla corte del Viceré di Napoli curioso di ascoltare la sua musica.  Superato un primo momento di riluttanza a causa del breve tempo a disposizione per concertare il lavoro, accetta l’invito ma, per sicurezza, porta con sé il suo secondo violino e il primo violoncello. A Napoli, il maestro della cappella vicereale è Alessandro Scarlatti, l’accoglienza è benevola e Arcangelo Corelli viene invitato ad eseguire uno dei suoi concerti a corte.
Purtroppo non c’è tempo per provare e Arcangelo Corelli è molto timoroso per le sorti della sua musica ma, eseguito il primo concerto, rimane stupito dall’abilità dei musicisti napoletani che avevano suonato la sua musica a prima vista con la stessa maestria della sua orchestra che, a differenza, conosceva il concerto a memoria.

 
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