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Note di sala
La dama spagnola ed il cavalier romano

Tra la fine del XVII secolo e i primi anni del successivo il dramma musicale serio è caratterizzato dalla mescolanza di scene tragiche, comiche e coreutiche. A partire dagli ultimi anni del Seicento, alcuni autori iniziano a ridimensionare le componenti farsesche relegandole in aree ben delimitate, compiendo così un significativo passo verso la progressiva separazione tra serio e faceto: i segmenti buffi, infatti, vengono dapprima collocati alla fine di ciascun atto per poi essere via via separati dal corpo del dramma fino ad acquisire una vita autonoma, assumendo in tal modo prima la funzione e poi il nome di intermezzi. La progressiva emancipazione delle scene comiche dal dramma serio e la scrittura ex novo di intermezzi autonomi, non più connessi strutturalmente all’opera ospite, genera una serie di importanti conseguenze quali, in primo luogo, la scomparsa di una comicità istrionica e grossier, in secondo luogo l’acquisizione da parte dei cantanti comici di uno status professionale di “specialisti” e, infine, una più agevole diffusione e circolazione dei materiali comici da un palcoscenico all’altro della Penisola. Questo complesso percorso si articola in forme e tempi diversi a seconda delle tradizioni e dei gusti locali. Infatti, diversamente da quanto accade nel resto dell’Italia e, in particolare modo, a Venezia, dove le tendenze arcadiche classicheggianti esercitano una maggiore influenza, a Napoli solo a partire dalla seconda metà degli anni Venti del Settecento gli intermezzi comici conquistano una loro autonomia come genere, complice la pervicace persistenza della consuetudine di inserire nel dramma principale scene comiche basate su caratteri e situazioni stereotipati, interpretate da una coppia di personaggi servili che occasionalmente intervengono anche come interlocutori dei personaggi seri. In questo contesto s’inquadrano le vicende compositive, editoriali e rappresentative delle scene comiche che vedono protagonisti Pericca e Varrone nella messa in musica di Alessandro Scarlatti. Nella stagione di carnevale del 1714 va in scena a Napoli al Teatro di San Bartolomeo Scipione nelle Spagne, dramma per musica in tre atti con musiche di Alessandro Scarlatti. Il libretto, di autore ignoto, è basato sull’omonima opera scritta da Apostolo Zeno per Carlo d’Asburgo (futuro re di Spagna col nome di Carlo III e, più tardi, imperatore Carlo VI d’Asburgo) e rappresentata nel 1710 a Barcellona con musica di autore sconosciuto. Al centro dell’intreccio vi sono Scipione, conquistatore della Spagna, e la principessa spagnola Sofonisba, sua prigioniera; al termine di numerose vicissitudini il proconsole romano rinuncia a sposare la principessa e generosamente la restituisce al nemico Luceio, principe dei Celtiberi, di cui la donna è innamorata. 2 Le scene comiche aggiunte per la rappresentazione napoletana, invece, sono presumibilmente opera dell’impresario Nicolò Serino ed hanno come protagonisti Pericca (dama di compagnia di Sofonisba) e Varrone (attendente di Scipione). Queste scene mostrano una consequenzialità dell’intreccio perfettamente compiuta ed un’azione teatrale del tutto omogenea ed unitaria tanto che, epurate dai riferimenti al dramma ospite, appaiono nel 1730 a Bologna stampate in un libretto per essere rappresentate autonomamente con il titolo La dama spagnola ed il cavalier romano, tre intermezzi eseguiti verosimilmente tra gli atti di un’opera di Giovanni Porta. Negli anni immediatamente successivi, con la riduzione in due intermezzi, appaiono nuovamente con il titolo di Pericca e Varrone. Tale circostanza non solo costituisce una precisa e importante testimonianza della nascente prassi di separare le scene comiche dal dramma ospite ma, nel caso specifico, suggerisce che si tratta di uno dei primi esempi documentati (se non addirittura il primo) di scene comiche che diventano intermezzi autonomi. Veniamo ora all’intreccio della vicenda teatrale: Pericca fa il suo ingresso in scena piangendo la presunta scomparsa della sua padrona e lamentando la sua condizione di zitella ma viene consolata dall’arrivo di Varrone il quale la rassicura sul fatto che la padrona è invece salva. Per ringraziarlo a dovere della buona nuova, Pericca gli regala un grosso orologio che, dopo attenta disamina del valore e del funzionamento, viene accettato. Varrone rimane affascinato dalla «dama spagnuola» ma, nel mentre che va «aggiustando un complimento», si dimostra troppo impacciato e viene così piantato in asso. La vicenda prosegue con Varrone intento a lamentarsi non solo del peso e delle eccessive dimensioni dell’orologio avuto in dono, ma anche perché viene continuamente importunato da gente che gli chiede l’ora. Al sopraggiungere di Pericca le impone quindi il fatidico aut aut: corrispondere alsuo amore o riprendersi il dono. Aquesto punto la donna ribatte che prima di prendere una decisione dovrà esaminare le doti fisiche del pretendente, giungendo però alla conclusione che l’uomo è troppo grasso. La replica di Varrone giunge prontamente con l’esaltazione delle proprie doti amatorie e coreutiche, e Pericca propone allora di mettere alla prova tali millantate qualità prima di accettarlo per marito. Varrone si presenta dunque armato di fioretti, violino e libri, vantandosi di essere maestro di scherma, ballo e poesia ma anche nella prova successiva fallisce miseramente. Sfidato a duello, infatti, l’inesperto schermidore ne esce sconfitto da Pericca la quale afferma, tuttavia, di non volerlo ancora scartare come marito. È dunque il turno della prova poetica: Varrone si propone come abile poeta recitando a Pericca un sonetto in suo onore, mettendosi preventivamente d’accordo con un gruppo di amici con il compito, in caso di vuoti di memoria, di intervenire fingendosi mendicanti e di interromperne la declamazione, per consentirgli in tal modo di ripassare le parole; l’ovvia 3 conclusione è che ne nasce un grande trambusto con tanto di lite tra i finti accattoni e il malcapitato “poeta”. Si giunge quindi alla prova di danza e, anche in questo caso, gli esiti non sono quelli auspicati dal goffo Varrone. Pericca si allontana, per poi rientrare travestita da dama spagnola, con il volto mascherato e coperto da un velo; Varrone la corteggia e si assiste ad uno scambio di battute pieno di fraintendimenti tra le parole in spagnolo rivolte dalla donna e le comiche risposte dell’uomo in un buffo linguaggio a metà tra italiano e spagnolo. Varrone allora, per far colpo sulla dama misteriosa, le offre l’orologio regalatogli da Pericca e le chiede di scoprire il volto; questa lo accontenta e si mostra con le fattezze di una vecchia all’impacciato pretendente il quale, basito e confuso, non solo si pente di averle dato l’orologio ma ne chiede addirittura la restituzione. Finalmente Pericca toglie la maschera e Varrone, alquanto a disagio, le chiede perdono, giungendo così alla riappacificazione di rito e al tanto agognato consenso alle nozze. In questo lavoro teatrale sono presenti diversi elementi tipici dello stile comico e del genere dell’intermezzo settecentesco: personaggi di bassa estrazione sociale, travestimento, inganno, equivoci, lingue straniere maccheronicamente storpiate, momenti di danza, duelli e matrimonio conclusivo. Di notevole interesse è la parte musicale, soprattutto in considerazione del fatto che il repertorio comico non fu molto frequentato da Alessandro Scarlatti. All’ascolto la partitura si rivela non solo elegante e raffinata ma anche coinvolgente, accattivante e, a tratti, persino sensuale. Il compositore, oltre a manifestare un mirabile estro creativo, mostra un’attenta partecipazione ai più piccoli mutamenti d’umore dei personaggi e la musica partecipa all’azione scenica con spontanea freschezza melodica e incisività ritmica, riflettendo con fluida trasparenza il succedersi degli accadimenti, senza tuttavia ricorrere agli schemi codificati e alle categorie retoriche presenti in molti lavori coevi. Il valore aggiunto è costituito dall’impiego sapiente del contrappunto (criticato da molti contemporanei di Scarlatti) che unito ad un mirabile respiro melodico fornisce la cifra del personalissimo linguaggio scarlattiano.

Stefano Innamorati
Mimmo Scarlatti
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